Mentre l’Italia si prepara ad una graduale riapertura, con tutti i dubbi e i timori del caso. Cina e Corea del Sud stanno affrontando quella che potrebbe essere la sfida più grande: il via libera alla ristorazione.
Cina: carne “vegetale” nei menù dei ristoranti che riaprono
Guardare alla Cina potrebbe insegnarci qualcosa. Perlomeno capire ciò che funziona e ciò che sarebbe meglio fare diversamente.
Il tema ristoranti è, forse, quello più preoccupante.
A Wuhan, epicentro e primo focolaio della crisi, dopo più di due mesi di confinamento nelle loro case, la maggior parte degli 11 milioni di residenti è ora libero di avventurarsi fuori.
Il sogno cinese è finito? Paura e speranza nella Cina quasi post coronavirus
Per il proprietario del ristorante Xiong Fei, la fine del blocco, nella città cinese dove è iniziata la crisi sanitaria, non ha portato sollievo. Anzi, all’orizzonte una serie di nuove e difficili sfide.
Le nuove norme non aiutano le persone ad uscire di casa, e questo, per l’imprenditore, è un’abitudine che non perderanno facilmente. “Chi lavora in azienda e prima veniva per pranzo, adesso riceve i lunch box in ufficio. E per cena le persone preferiscono cucinare a casa“, racconta a Bloomberg.
Ignace Lecleir, proprietario del Temple Restaurant Group di Pechino, racconta al New York Times, come la paura, nonostante le misure di sicurezza adottate, stia spingendo le persone a continuare a preferire le consegne a domicilio, piuttosto che sedere in un ristorante.
“Abbiamo sicuramente avuto un aumento dei clienti ogni giorno dalla riapertura, ma al momento il mio giro d’affari è dovuto per il 70% alle consegne, e solo per il 30% ai pasti serviti ai tavoli“, parole di sconforto quelle del ristoratore.
I dubbi dello chef David Chang
Sono tante le perplessità di David Chang, ristoratore statunitense di origine coreana, fondatore del gruppo di ristorazione Momofuku, che gestisce ristoranti asiatici di alto livello negli Stati Uniti e in Canada.
Negli Stati Uniti la riapertura non è ancora avvenuta, ma i suoi dubbi su come andrà sono tanti. Dubbi che ha confidato al New York Times.
“La mia paura – spiega – è che i ristoranti che sopravvivranno saranno solo le grandi catene, e ci dovremo scordare il mix che rende l’America del cibo così eclettica. Anche nei momenti buoni se gli chef non fanno ottimi numeri non sopravvivono: immaginatevi adesso che cosa potrà succedere“.
“Forse bisogna agire all’apice della catena – suggerisce Chang – il governo dovrebbe sostenere i proprietari di immobili, in modo che almeno per l’affitto ci sia un po’ di alleggerimento per i ristoratori. I ristoratori a loro volta potranno così sostenere i fornitori, gli agricoltori, gli addetti alle consegne. E poi credo che il governo dovrebbe dare un reddito di base universale, e l’assicurazione sanitaria“.
L’appello su Twitter
Chang, nel tentativo di riuscire a capire come agire in vista della riapertura della ristorazione negli Stati Uniti, si è rivolto ai suoi colleghi asiatici.
Lo chef ha chiesto su Twitter a ristoratori, direttori di aziende e catene e a persone comuni di inviargli foto e di spiegargli quali misure di sicurezza fossero state prese nella ristorazione, così da prendere spunto.
Da Seul a Hong Kong, da Pechino a Taipei, sono stati in molti a dare il loro contributo. Segnalando linee guida, immagini e video di cosa sta accadendo nei locali delle loro città.
In alcuni casi si tratta di linee guida dettate dai governi, in altre di iniziative personali dei ristoratori stessi.
Si va dal distanziamento dei tavoli e l’obbligo della mascherina alle barriere in plexigass. Fino ad arrivare alla sanificazione delle posate o la disinfezione dei clienti stessi.
Le esperienze dei diversi locali aperti al pubblico
In un ristorante di Shangai, una macchina disinfetta i clienti all’entrata, il personale, invece, indossa guanti e mascherine. Le posate vengono sanificare davanti il cliente stesso, prima di essere messe a tavola.
Tre ristoranti a Seul, in Corea del Sud. Qui, spiega l’autore del tweet, le cose non sono molto diverse da prima che iniziasse l’emergenza sanitaria.
Si continua a mantenere la distanza di sicurezza al tavolo. Il personale indossa sempre la mascherina e i clienti se la tolgono solo per mangiare. Sul bancone è disponibile per tutti il gel detergente per le mani.
A Shenzhen i locali si erano mossi già nella prima fase della riapertura.
Temperatura all’entrata per tutti, non doveva superare i 37,3 °C.
Non solo, per poter avere accesso al ristorante, niente tosse e raffreddore.
Obbligo della mascherina fino al momento di mangiare, per poi indossarla subito dopo. Possibilità di allontarsi dal tavolo solo con la mascherina.
Il locale non poteva riempirsi oltre il 50 per cento della sua capacità e i tavoli dovevano essere disinfettati per ogni nuovo cliente. Bisognava stare seduti a un metro di distanza. Nei fast food con tavoli piccoli non si poteva sedere più di una persona a tavolo.
Ora queste misure si stanno lentamente allentando.
A Pechino, chi si occupa delle consegne per McDonald’s deve non solo indossare la mascherina, ma segnare la sua temperatura corporea sul pacco d’asporto.
Tavoli separati da pannelli per i ristoranti della catena di fast food Yardbird di Hong Kong.
Si misura la temperatura e si controlla il codice QR a Chongqing, in Cina.
Una specie di codice a barre che segnala lo stato di salute del cliente, attraverso un app governativa.
A Taipei, capitale di Taiwan, si fornisce gel detergente per tutti, il personale indossa guanti e mascherina. La temperatura viene rilevata solo in alcuni ristoranti.