Lo studio e le ricerche storiche prevedono anche approfondite analisi sulle abitudini alimentari delle popolazioni del passato. Finora i documenti e le testimonianze risalenti al Basso Medioevo hanno messo in risalto soprattutto una sostanziale distinzione: da un lato vi era la cucina di corte, e dall’altro quella dei religiosi. Nel primo caso si trattava di pranzi abbondanti e sfarzosi, durante i quali si consumavano diversi tipi di carne. Nel secondo, invece, si tendeva a mantenere un profilo basso, a non esagerare e a mangiare il necessario per il proprio sostentamento.
La regola che seguivano gli ecclesiastici medievali prevedeva che si facesse ricorso al cibo esclusivamente per placare la fame eccessiva, ma senza esagerare. Infatti, a causa di un’interpretazione errata delle Sacre Scritture, si era diffusa la convinzione che la Gola fosse il peggiore di tutti i peccati, quello che aveva spinto Adamo a macchiarsi del Peccato Originale. In realtà, esso fu provocato dalla Superbia e dall’opera malefica del diavolo (sotto forma di serpente).
San Benedetto da Norcia, nella sua famosa Regola, prescrive per i monaci un vitto modesto e poco vino (anche se sarebbe meglio farne a meno) ma soprattutto sottolinea che è fondamentali non saziarsi mai durante i pasti, giacché: «Nulla è così sconveniente ad un cristiano quanto l’eccesso del cibo». E poi, citando Luca, aggiungeva: «State attenti perché i vostri cuori non siano aggravati dal soverchio cibo».
San Girolamo fu uno dei principali promotori del digiuno quale virtù fondamentale, ricordando – a proposito del peccato della Gola che sarebbe stato commesso da Adamo – che il primo di tutti gli uomini: «Fu scacciato dal Paradiso per la sua sottomissione al ventre piuttosto che a Dio».
Le abitudini alimentari dei religiosi nel Medioevo
Nonostante questi iniziali propositi di moderazione a tavola, quando col tempo gli ordini monastici cominciarono ad acquisire una certa rilevanza non solo sociale ma anche economica, anche la loro alimentazione iniziò a diventare più raffinata e abbondante. Nemmeno il monachesimo occidentale, che era sorto per contrastare proprio questa deviazione verso l’opulenza e i beni materiali, riuscì a tenersi lontano dal settore della gastronomia, e non a caso all’interno dei monasteri si diffuse gradualmente una cucina genuina e di qualità.
Nel Medioevo, la rigorosa osservanza dei precetti religiosi portò ad alternare spesso periodi di digiuno ad altri in cui invece ci si poteva concedere qualche libertà in più a tavola (si susseguivano ad esempio Quaresima, vigilie delle festività religiose, venerdì santi e a volte anche i mercoledì). Questa situazione favorì l’introduzione di una cucina parallela per sostituire alimenti come carne, uova, pesce, ma anche derivati del latte, latticini e burro erano vietati durante i giorni cosiddetti «di magro». E non a caso si diffuse il ricorso alle mandorle, soprattutto al latte di mandorle utile per preparare un burro vegetale ma anche delle ricotte e formaggi come le giuncate. È inutile dire che, seppur nutrienti, non potevano avere di certo lo stesso sapore dei prodotti caseari tradizionali. Gli altri alimenti che i religiosi consumavano in questo periodo erano il riso e la carne di luccio.
Enogastronomia medioevale: cosa si mangiava nel Medioevo?
Col tempo, i monaci si abituarono così tanto al latte di mandorle che anche per le ricette più sostanziose decisero di ricorrervi al posto ad esempio del latte di capra quando si trattava di cucinare lardo e carne di pollo.