L’oca, parte integrante della dieta della Lomellina. Andiamo a coprire la sua storia e i prodotti locali
«Gioachino, perché hai dedicato tutta la tua vita all’oca?»
«È un ricordo d’infanzia, da piccoli andavamo sempre a pascolare le oche sulle rive dei fossi, in mezzo ai campi».
La casa di Gioachino Palestro è completamente piena di oche: dentro, fuori, vive, morte, in ceramica, in plastica; in vetro, in carne e ossa, insaccate. Infatti non si potrebbe parlare di oca della Lomellina senza di lui, perché nessuno conosce meglio questo palmipede. Ma l’oca è indissolubilmente legata a tutti gli abitanti e al territorio della Lomellina, questa regione a sud ovest della Lombardia che si caratterizza da sempre per una forte vocazione agricola.
E alla base di questa vocazione, insieme a riso e rane, c’è proprio l’oca, presente qui sicuramente già dall’inizio dell’Ottocento, quando ogni famiglia ne aveva almeno un paio in giardino. C’è un detto locale che recita: «Se abbiamo vino e oca, nevichi pure».
Storia dell’oca
La razza presente in Lomellina è la Bianca Romagnola, una delle più antiche, oltre che più feconde e ovaiole. Pensate che quando vanno in amore, a maggio, hanno circa 6 rapporti al giorno! Allo stesso tempo è uno degli animali più attivi e distruttivi che ci sia, tant’è che in passato si teneva proprio affinché mantenesse puliti sottoboschi e rive dei fossi: «Dove passa lei, non lascia niente», raccontano gli allevatori. «Mangia di tutto, riso, erbe, mais… Sembra Attila!».
Per gli stessi motivi, infatti, hanno anche provato a proibirla: un documento comunale del 1833 riporta il divieto di pascolo delle oche «Perché fanno danno a coltivazioni e orti». Ma l’oca in Lomellina ci è sempre rimasta, anche perché qui ha trovato il suo habitat; la sua presenza è continuata nel tempo anche grazie all’arrivo degli ebrei, che intorno al 1500 furono confinati in zona.
Quindi, possiamo immaginare che l’oca è di certo presente in Lomellina da ben prima dell’Ottocento, e la presenza della comunità ebraica ha contribuito sicuramente al mantenimento di questo animale. Oggi, per ovvie ragioni e cambiamento dei tempi, le oche non sono più così diffuse nei giardini, ma sono tutt’altro che in estinzione.
L’oca in cucina
L’oca è parte integrante dell’alimentazione in Lomellina, dove si mangia tradizionalmente tra autunno e inverno. Il modo più comune è nei piatti che più mantengono la sua semplicità, consentendo di assaporare al meglio le sue carni: arrosto in primis, brasato, in umido, al forno, ripiena (tutta intera).
In alternativa c’è un classico invernale, la versione kosher della cassoeula, ovvero il ragò d’oca, che differisce solo per la presenza di carne d’oca al posto di quella di maiale. Ma di base «qui la fame ha sempre aguzzato l’ingegno», quindi ci sono varie ricette anche diverse e innovative da famiglia a famiglia. Gioachino, ad esempio, la prepara anche nei filettucci di magro con cipolle di Breme, semplicemente scottando la coscia nell’olio, sfumandola con un po’ di vino e cuocendola poi per circa un’ora con le cipolle. Dove? Alla Corte dell’Oca.
La Corte dell’Oca
Nel 1988 Gioachino Palestro apre la Corte dell’Oca, proprio sotto casa sua, animato da un sano entusiasmo di voler recuperare antiche ricette della Lomellina, oltre che creare una sorta di punto di riferimento dell’oca Bianca Romagnola. Erano anni in cui l’agricoltura e i prodotti locali non avevano di certo l’importanza di oggi.
Eppure la Corte dell’Oca non nasce e non è mai stato un ristorante, ma, come dice lui, «questo è un gran casino»: in realtà la Corte dell’Oca è un luogo di ritrovo, dove respirare l’aria di una volta, dove invitare amici e organizzare cene su prenotazione per piccoli gruppi e dove da sempre lui si occupa dell’oca. Il suo compito principale è prima selezionare le migliori oche da allevatori e controllarle ancora prima della nascita; poi macellarle, lavorarle (direttamente nel suo patio) e produrre prodotti eccellenti che distribuisce praticamente ovunque, anche a domicilio.
Prodotti a base di oca
Oltre a il petto d’oca, il grasso d’oca fuso e la mortadella di fegato, tra i prodotti di Gioacchino c’è il Torcione, ovvero un fegato grasso crudo e ripulito, presente anche nella versione del Ficatum, ovvero nel caso in cui le oche negli ultimi sei giorni di vita abbiano mangiato fichi (che arrivano direttamente dalla Calabria). Ricordiamo che ormai è illegale, per fortuna, qualsiasi pratica di ingrassamento indotto delle oche, quindi l’animale ingrassa naturalmente, per altro anche nel rispetto totale del protocollo IGP.
L’unico prodotto a far parte del disciplinare è il noto Salame d’Oca IGP di Mortara, dove si festeggia ogni settembre, anche se Gioachino sta cercando di far rientrare anche altre chicche. Questo salume richiede la cottura prima di essere consumato; viene preparato con polpa magra d’oca, ingrasso e aggiunta di carne di suino, insaccato con aromi nella pelle d’oca. C’è anche la versione Kosher, ovvero solo con carne magra di oca lamata a coltello e insaccata a mano della pelle del collo dell’animale, che non a caso è un prodotto tipico della cultura ebraica, alternativo a quello preparato con carne di maiale.
Altro grande prodotto della zona è il Marbré d’Oca di Mortara, che invece ha la De.C.O., realizzato con carne d’oca e di suino e lingua salmistrata di suino, il tutto sminuzzato a coltello, con aggiunta di sale, pepe e aromi naturali e con successiva marinatura in vino marsala. Dopo la cottura, si aggiungono pistacchi scottati e pelati e tartufo nero a pezzettini; il composto ottenuto viene versato in stampi e “gelatinato” con il sugo di cottura, servito freddo, a cubetti, come antipasto.
Inutile forse aggiungere che in passato si preparavano anche piumini, giacche e cuscini con le sue piume, poi nel tempo sostituiti da materiali meno costosi e più facili da lavorare e reperire, seppur di qualità nettamente inferiori.