Bisogna salvare la cipolla di Airola, uno dei prodotti tipici del territorio italiano che rischia l’estinzione. Nel tentativo di rilanciare quest’eccellenza agroalimentare nostrana, Slow Food l’ha inserita nel suo circuito (è il presidio numero 324 in Italia e 591 nel mondo) che punta proprio a valorizzare i prodotti genuini che però potrebbero sparire da un momento all’altro dalla circolazione. Questa particolare varietà di cipolla, utilizzata soprattutto per preparare il sugo alla genovese, si trova davvero in bilico e la sua coltivazione è andata incontro ad un tracollo negli ultimi anni.
Infatti, se in passato nel Beneventano c’erano circa 100 ettari di terreni dedicati alla coltura della cipolla di Airola, adesso invece se ne contano appena tre per un totale di circa 14 appezzamenti. La crisi è iniziata intorno agli anni ’70 quando diversi agricoltori campani hanno preferito occuparsi della coltivazione del tabacco che, non solo si prestava meglio all’uso di macchinari automatici, ma garantiva anche una maggiore redditività. In un secondo momento, con lo sviluppo dell’industria, molti giovani sono andati a lavorare in fabbrica e hanno lasciato i campi, non portando avanti la tradizione della cipolla tipica della Valle Caudina.
Quando ci si è resi conto che la pianta stava avvicinandosi all’estinzione, si è deciso di intervenire con il supporto di Slow Food per evitare che Airola potesse perdere il suo prodotto tipico, ma anche per far sì che in Italia si possa contare ancora su uno dei frutti della terra che rendono unica la biodiversità della nostra filiera agroalimentare.
Qualità e caratteristiche della cipolla di Airola
La coltivazione della cipolla di Airola si è sviluppata lungo la Valle Caudina grazie alla presenza dei corsi d’acqua Tesa e Faenza, i quali rilasciano del materiale organico senza però rendere i terreni acquitrinosi. Tutto ciò ha posto le basi per la semina e la crescita delle piante che presentano un sapore caratteristico quantomai improntato alla dolcezza e per niente pungente. Le aree storiche per la coltura di queste cipolle sono le contrade Feniello, Padula, Scarpone, Pantanosi e Cortecalce.
L’eccellenza agroalimentare beneventana ha il bulbo dalla forma leggermente allungata, con la parte esterna caratterizzata da una colorazione ramata, mentre all’interno è rosa con sfumature viola. Le tecniche di lavorazione sono state trasmesse tra le famiglie contadine del posto di padre in figlio, così come le sementi, selezionate accuratamente tra le piante più grandi e integre. La raccolta di solito viene effettuata manualmente e comincia intorno alla metà di luglio. Il prodotto agricolo in un primo momento si lascia nel campo e, una volta terminata la prima fase di asciugatura, viene trasportato e conservato in magazzino.
Il momento più alto della fama della cipolla di Airola si è avuto fino agli anni ’50-’60 quando da Napoli arrivavano nella provincia di Benevento dei carri di commercianti interessati all’acquisto della pianta. Di conseguenza, essa rappresentava una delle principali fondi di guadagno dei contadini del posto. Poi negli anni ’70 è cominciato il crollo che purtroppo è andato avanti fino ad oggi con un graduale abbandono della coltivazione che ora potrebbe far sparire per sempre questo vegetale dal sapore unico.
La tradizione culinaria italiana prevede che la cipolla del Beneventano, oltre che nel sugo alla genovese, venga aggiunta nelle zuppe di fave o fagioli, consumata cruda in insalata, oppure utilizzata in frittate e frittelle per darvi un gusto unico e originale. Armando Ciardiello, esponente di Slow Food Valle Caudina, ha dichiarato alla sezione Sapori del quotidiano Repubblica che purtroppo ormai il prezzo all’ingrosso è crollato, arrivando addirittura a pochi centesimi al chilo, circostanza che ha allontanato tanti produttori e commercianti che, ovviamente, non hanno più visto nella cipolla di Airola una fonte di guadagno.
Slow Food quindi ha deciso di inserirla nel proprio presidio per cercare di rilanciare le quotazioni di un prodotto tipico della Campania e di tutta la filiera agroalimentare italiana e per far sì che, recuperando un prezzo equo sul mercato, possa riprendere una coltivazione più cospicua che impedisca l’estinzione della cipolla di Airola.